Di: Gordana Katana per Oslobođenje –
Quest’anno, in Repubblica Srpska, sei donne hanno perso la vita come vittime della violenza domestica. Cio’ significa che a mesi alterni, uno dei tanti, perenni, litigi, termina con il piu’ brutale dei gesti, – l’omidicio del partner.
Gli abusi tra le mura di casa solitamente durano anni. E possono assumere tutte le forme. Dagli insulti verbali, all’imposizione di privazioni ed alla negazione della soddisfazione dei bisogni comune ad ogni essere umano, fino alla violenza fisica.
Negli anni, in numerose interviste con donne che avevano subito degli abusi, la storia era sempre la stessa. Prima le minacce di alzare le mani, poi le sberle, poi i pestaggi, per i quali c’era ogni volta una motivazione. Ci sono molte ragioni per cui una donna sceglie di restare con partner del genere. Dalla dipendenza economia alla paura dell’opinione delle gente. Ma della violenza di genere che affligge queste comunita’, senza distinzioni di censo o di livello culturale, non se ne parla ancora a sufficienza, nonostante ci si stia avvicinando al secondo decennio del ventunesimo secolo.
Vero, abbiamo delle leggi che sanzionano la violenza domestica, ma in numerose altre parti della nostra societa’, quest’ultime vengono messe da parte ed ignorate.
Dicembre e’ il mese della campagna “16 giorni di attivismo”, che si prefigge l’obbiettivo di prevenire la violenza domestica. Cosi’ i direttori della televisioni, i politici e le loro mogli, si risvegliano dall’usuale letargia, appuntandosi la spilla della campagna sulla giacca. Nei giorni successivi le donne dei partiti SDS, PDPD etc…organizzano incontri e tavole rotonde dove si discue di violenza domestica. Alla fine, giudicando i risultati delle esperienze precedenti, quello che restera’ saranno solo le parole. A confermare, purtroppo, ancora una volta l’ipocrisia della classe politica di fronte al problema.
E la fornitura delle cure necessarie alle donne che riescono a scappare dall’inferno in cui vivono restera’ l’unico settore del governo a non avere esponenti di sesso femminile. Le case sicure in Bosnia si possono tranquillamente contare sulle dita di due mani. E di mese in mese, di anno in anno, fanno sempre piu’ fatica a sopravvivere finanziariamente. Il Ministero per la famiglia, la gioventu’ e lo sport della Repubblica Srpska ha inserito nel suo budget il finanziamento per una casa sicura a Banja Luka. Ma il contributo e’ l’ultimo dei pensieri della ministra Jasmina Davidović.
Non si e’ infatti preoccupata di rendere mensile o comunque regolare l’erogazione del denaro, piuttosto ha deciso di relegare il sostengo economico alla casa sicura alla fine del trimestre, dopo ogni altra voce. Le case sicure non interessano neppure alle parlamentari di opposizione. Se cosi’ fosse, lo avrebbero dimostrato durante almeno una delle volte in cui, nel momento delle domande del Parlamento al governo, abbiamo sentito un interrogativo che riguardava il finanziamento delle case sicure. Ma la questione non tocca neanche il Centar Gender della Repubblica Srpska, che essendo parte del sistema, non se ne preoccupa.
La casa sicura e’ un primo passo e la prima stazione, il primo stop temporaneo per sfuggire all’inferno della violenza. E’ il luogo dove e’ possibile fornire l’aiuto sistematico necessario a queste donne. Da la’, specialmente se hanno figli, possono cercare di condurre una vita il piu’ possibile normale, lontane dai loro aguzzini. E riguardo a questo argomento, non si sente la voce dei politici. Eccetto, come abbiamo gia’ visto, in occasioni particolari. Per quanto cio’ sia devastante, non deve, allo stesso tempo, sorprendere. In quanto sara’ difficile rimuovere il sapore metallico dalla bocca che e’ rimasto per quello che e’ successo, esattamente due anni fa, nel dicembre 2015, quando l’Assemblea Nazionale ha espluso, gettandola fuori dalla sala come un sacco di patate, la presidentessa dell’Unione dei Sindacati, Ranka Mišić. Le donne, tuttavia, non hanno fatto fronte comune, ne’ hanno solidarizzato con la Mišić. Addirittura in parlamento non si sono unite per protestare contro la violenza, ne’ dai banchi del governo, ne’ da quelli dell’opposizione e non offrendo, quindi, una condanna unanime del gesto.
Sfortunatamente, in Bosnia non siamo i soli a dover affrontare questo tipo di problemi. Due mesi fa in Croazia e’ scoppiato il caso di Alojz Tomašević, sindaco di Požega, accusato di violenza domestica. Alla fine, sfibrata, la vittima, Mara Tomaševic, ha chiesto aiuto alla istituzioni locali, scrivendo anche al capo del partito di suo marito, il leader dell’HDZ Andrej Plenković. Infine, quando le botte non sono state piu’ possibili da nascondere e dopo due mesi – ripeto due mesi – di pressioni dall’opinione pubblica, Plenković ha richiesto le dimissioni di Tomašević. All’inizio della campagna per la prevenzione della violenza domestica, una indignata Mara Tomašević ha detto:
” donne, restate in silenzio e sopportate, perche’ nessuno verra’ in vostro aiuto”.
Secondo numerosi studi, ci sono almeno sei donne su dieci che non riferiscono mai a nessuno la violenza che hanno subito o stanno subendo. Speriamo che non diventino parte della lista nera di quelle uccise.
Fonte: Originale – Oslobođenje –
Tradotto da: Redazione
Note del traduttore: dove possibile si e’ cercato di mantenere l’andamento ed il ritmo dell’articolo originale. Nei punti in cui questo principio snaturava la prosa italiana, si e’ cercato di adottare la parafrasi piu’ consona al significato.