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Bosnia: Dodik in lista nera degli USA

Milorad Dodik, presidente dell’entità serba di Bosnia, la Republika Srpska, è stato incluso nella “lista nera” dal governo degli Stati Uniti, come riporta in un’intervista concessa al quotidiano di Sarajevo l’ambasciatrice americana Maureen Cormack.
La decisione è stata presa al vertica e risponde a dei criteri specifici che orientano la politica del gigante statunitense in Bosnia. La Cormack ha dichiarato:

“La politica americana in Bosnia è molto chiara. Noi supportiamo questo paese, la sua integrità territoriale, la Costituzione disciplinata negli Accordi di Dayton, il processo di integrazione della Bosnia all’interno dell’Unione Europea e se Dodik dovesse cominciare ad impegnarsi su progetti che facciano il bene dei cittadini bosniaci, come ho detto ripetutamente, noi siamo pronti a lavorare con ogni leader che condividono gli obiettivi di cui sopra. “
La decisione, ha aggiunto, non è contro i cittadini della RS o contro l’esistenza stessa dell’entità. L’ambasciatrice ha tenuto a precisare che il governo americano continua e continuerà a cooperare con le istituzioni serbo-bosniache, come dimostra il progetto di supporto all’economia Farma 2 o il programma USAID.
“Infatti mi preme sottolineare che è Dodik ad aver deciso quanto sta accadendo. Semplicemente, deve abbandonare la retorica nazionalista e secessionista, l’opposizione ferma e decisa al processo di integrazione della Bosnia nello scacchiere euro-atlantico e tutte quelle dichiarazioni che sembrano voler solamente rallentare lo sviluppo del paese.” ha concluso la Cormack.

Fonte: N1, Oslobodjenje

Croazia&Serbia: il nazionalismo ed il futuro

Quando gli Stati Uniti d’America e l’Unione Europea hanno iniziato a chiamare i territori dell’ex-Jugoslavia con il termine di Balcani Occidentali nei primi anni 2000, una delle motivazioni era identificare una cesura tra il passato di conflitti e violenza ed un futuro pacifico.

Tuttavia, il 2017 si avvia ad una conclusione che pone l’accento sulla trasformazione incompleta dell’idenitità soprattutto di Croazia e Serbia, che, seppur abbiano compiuto dei passi avanti fondamentali, sembrano non voler rinunciare a ricorrere ad una certa intransigenza politica.

Per avere una controprova, si analizzino le reazioni a quanto concluso dall’ICTY, che giovedì ha celebrato l’imminente chiusura: la Corte ha chiaramente stabilito, nei suoi quasi venticinque anni di attività, i caratteri somatici del conflitto seguito alla dissoluzione della Jugoslavia, con attenzione particolare per i fatti che hanno interessato la Bosnia.

La ricostruzione ha puntualmente ricondotto le responsabilità dei governi di Zagabria e Belgrado del finanziamento e mantenimento alle forze armate nazionaliste attive sul terreno, ossia l’HVO e la VRS, le quali erano, chiaramente, appendici dei suddetti governi di cui perseguivano gli obiettivi. La presenza delle firme dei due presidenti, Tudjman e Milosevic, sugli accordi di Dayton, vicino ad Izetbegovic, confermano questo coinvolgimento diretto di Croazia e Serbia nella guerra di Bosnia, paese del quale entrambe desideravano una partizione (discussa in principio tra il 1992 ed il 1994), in guisa tale da soddisfare le mire delle rispettive leadership per una “Grande Serbia” o per una “Grande Croazia”.

Di questo passato complesso, dominato dall’etnonazionalismo, i due paesi devono rispondere in modo coerente. Al momento, nè il governo dell’HDZ, l’Unione Democratica Croata, nè l’amministrazione del presidente Vucic hanno, in alcun modo, mostrato la buona volontà di riconoscere i crimini commessi dai loro predecessori. In poche parole, a Zagabria ed a Belgrado non v’è alcun Willy Brandt pronto ad inginocchiarsi a Canossa (o nel caso specifico del cancelliere tedesco, al ghetto di Varsavia).

Anzi, al contrario, imperversano il revisionismo ed il negazionismo storico, mentre, dietro alle dichirazioni di circostanza, si nota la presenza delle stesse aspirazioni (o velleità) espansionistiche viste durante la guerra, malgrado l’ingresso della Croazia nella NATO (2009) e nell’Unione Europea e la promessa di un’entrata della Serbia (non membro NATO) nella famiglia europea entro il 2025

Difficilmente passa un giorno senza che, a turno, il presidente della Republika Srpska Milorad Dodik non minacci l’integrità territoriale bosniaca, subito seguito dalle dichirazioni sulle stesso tono del membro croato della presidenza tripartia della Bosnia Dragan Covic, che sogna una terza entità a maggioranza croata. E quest’ultimo, nei momenti concitati dopo il suicidio in diretta del generale Slobodan Praljak, ha rivelato la sua celata intenzione di mantenere la Bosnia fuori sia dall’Alleanza Atlantica che dall’UE, prima che gli venisse fatto notare come la sua retorica fosse un po’ troppo tagliente e pericolosa. Tuttavia i fatti rimangono: Croazia e Serbia non hanno mai smesso di considerare la Bosnia come una creazione temporanea, che tornerà a loro disposizione nel prossimo futuro.

I governi serbo e croato hanno più volte protestato riguardo ad un’ammissione di responsabilità nei confronti dei crimini passati, uguagliano il gesto ad una irreparabile umiliazione nazionale. Su questo aspetto v’è una logica: è più semplice scivolare verso un autoritarismo illiberale ed un corteggiamento nemmeno troppo nascosto di un rinnovato estremismo politico piuttosto che rivalutare il proprio trascorso con onestà. Ciò nondimeno, è proprio l’azione di distanziarsi dal passato che permetterà a Serbia e Croazia di ricostruirsi un’identità nazionale che prescinda dalle guerre di Tudjman e Milosevic. Invece della glorificazione delle loro figure, sarebbe più salutare a Zagabria e Belgrado, una celebrazione della sconfitta di quell’ideologia nazionalista delle “piccole patrie” che tanto orrore ha portato nei Balcani, finalmente restituendo alla Bosnia la sua dignità di stato, cessando di contribuire alla sua autodistruttiva autofagia.

Solo sconfessando ciò che è stato (e ci si auspica, mai sarà di nuovo), per Croazia e Serbia si aprirà una nuova pagina della loro storia.

 

Bosnia: Dodik riafferma la centralità del 9 gennaio

Con dicembre a pochi giorni dal termine, il presidente dell’entità serba di Bosnia, la Repubblica Srpska, Milorad Dodik, ha riaffermato quanto la ricorrenza del 9 gennaio, giorno di fondazione della regione autonoma, riconsociuta dagli accordi di Dayton 1995, abbia un’importanza centrale nella sua dialettica politica.

In un’intervista, ieri sera a Televiziju “K-3”, il presidente ha respinto la possibilità che vi sia una delegazione delle forze armate della Bosnia Erzegovina alle celebrazioni.

“Rifiuto ogni presenza delle forze armate durante la festività del 9 gennaio” ha dichirato ai microfoni dell’emittente.

“Ogni onore ai serbi che servono sotto le armi (dello stato), tuttavia, non le sentiamo come nostre.” ha poi aggiunto.

“Organizzeremo una solenne cerimonia, per festeggiare il 9 gennaio. In più, il prossimo anno, in quella data, avremo una nuova accademia. Durante questa manifestazione (di inaugurazione, ndr), convocheremo i nostri veterani e mostreremo ciò che abbiamo (probabile riferimento agli armamenti, ndr), perchè desideriamo che la gente capisca che la Republika Srpska è pronta anche a difendersi.” ha concluso, prima di invitare tutti i  serbi ad esporre la bandiera e di celebrare la libertà della RS proprio il 9 gennaio.

Nonostante i proclami del presidente Dodik e gli eventi organizzati, la festività è stata giudicata non costituzionale dalla Corte Costituzionale della Bosnia Erzegovina, nel novembre del 2015.

Fonte: N1, Oslobodjenje

 

L’ipocrisia dei nostri politici

Di: Gordana Katana per Oslobođenje –

Quest’anno, in Repubblica Srpska, sei donne hanno perso la vita come vittime della violenza domestica. Cio’ significa che a mesi alterni, uno dei tanti, perenni, litigi, termina con il piu’ brutale dei gesti, – l’omidicio del partner.

Gli abusi tra le mura di casa solitamente durano anni. E possono assumere tutte le forme. Dagli insulti verbali, all’imposizione di privazioni ed alla negazione della soddisfazione dei bisogni comune ad ogni essere umano, fino alla violenza fisica.

Negli anni, in numerose interviste con donne che avevano subito degli abusi, la storia era sempre la stessa. Prima le minacce di alzare le mani, poi le sberle, poi i pestaggi, per i quali c’era ogni volta una motivazione. Ci sono molte ragioni per cui una donna sceglie di restare con partner del genere. Dalla dipendenza economia alla paura dell’opinione delle gente. Ma della violenza di genere che affligge queste comunita’, senza distinzioni di censo o di livello culturale, non se ne parla ancora a sufficienza, nonostante ci si stia avvicinando al secondo decennio del ventunesimo secolo.

Vero, abbiamo delle leggi che sanzionano la violenza domestica, ma in numerose altre parti della nostra societa’, quest’ultime vengono messe da parte ed ignorate.

Dicembre e’ il mese della campagna “16 giorni di attivismo”, che si prefigge l’obbiettivo di prevenire la violenza domestica. Cosi’ i direttori della televisioni, i politici e le loro mogli, si risvegliano dall’usuale letargia, appuntandosi la spilla della campagna sulla giacca. Nei giorni successivi le donne dei partiti SDS, PDPD etc…organizzano incontri e tavole rotonde dove si discue di violenza domestica. Alla fine, giudicando i risultati delle esperienze precedenti, quello che restera’ saranno solo le parole. A confermare, purtroppo, ancora una volta l’ipocrisia della classe politica di fronte al problema.

E la fornitura delle cure necessarie alle donne che riescono a scappare dall’inferno in cui vivono restera’ l’unico settore del governo a non avere esponenti di sesso femminile. Le case sicure in Bosnia si possono tranquillamente contare sulle dita di due mani. E di mese in mese, di anno in anno, fanno sempre piu’ fatica a sopravvivere finanziariamente. Il Ministero per la famiglia, la gioventu’ e lo sport della Repubblica Srpska ha inserito nel suo budget il finanziamento per una casa sicura a Banja Luka. Ma il contributo e’ l’ultimo dei pensieri della ministra Jasmina Davidović.

Non si e’ infatti preoccupata di rendere mensile o comunque regolare l’erogazione del denaro, piuttosto ha deciso di relegare il sostengo economico alla casa sicura alla fine del trimestre, dopo ogni altra voce. Le case sicure non interessano neppure alle parlamentari di opposizione. Se cosi’ fosse, lo avrebbero dimostrato durante almeno una delle volte in cui, nel momento delle domande del Parlamento al governo, abbiamo sentito un interrogativo che riguardava il finanziamento delle case sicure. Ma la questione non tocca neanche il Centar Gender della Repubblica Srpska, che essendo parte del sistema, non se ne preoccupa.

La casa sicura e’ un primo passo e la prima stazione, il primo stop temporaneo per sfuggire all’inferno della violenza. E’ il luogo dove e’ possibile fornire l’aiuto sistematico necessario a queste donne. Da la’, specialmente se hanno figli, possono cercare di condurre una vita il piu’ possibile normale, lontane dai loro aguzzini. E riguardo a questo argomento, non si sente la voce dei politici. Eccetto, come abbiamo gia’ visto, in occasioni particolari. Per quanto cio’ sia devastante, non deve, allo stesso tempo, sorprendere. In quanto sara’ difficile rimuovere il sapore metallico dalla bocca che e’ rimasto per quello che e’ successo, esattamente due anni fa, nel dicembre 2015, quando l’Assemblea Nazionale ha espluso, gettandola fuori dalla sala come un sacco di patate, la presidentessa dell’Unione dei Sindacati, Ranka Mišić. Le donne, tuttavia, non hanno fatto fronte comune, ne’ hanno solidarizzato con la Mišić. Addirittura in parlamento non si sono unite per protestare contro la violenza, ne’ dai banchi del governo, ne’ da quelli dell’opposizione e non offrendo, quindi, una condanna unanime del gesto.

Sfortunatamente, in Bosnia non siamo i soli a dover affrontare questo tipo di problemi. Due mesi fa in Croazia e’ scoppiato il caso di Alojz Tomašević, sindaco di Požega, accusato di violenza domestica. Alla fine, sfibrata, la vittima, Mara Tomaševic, ha chiesto aiuto alla istituzioni locali, scrivendo anche al capo del partito di suo marito, il leader dell’HDZ Andrej Plenković. Infine, quando le botte non sono state piu’ possibili da nascondere e dopo due mesi –  ripeto due mesi –  di pressioni dall’opinione pubblica, Plenković ha richiesto le dimissioni di Tomašević. All’inizio della campagna per la prevenzione della violenza domestica, una indignata Mara Tomašević ha detto:

” donne, restate in silenzio e sopportate, perche’ nessuno verra’ in vostro aiuto”.

Secondo numerosi studi, ci sono almeno sei donne su dieci che non riferiscono mai a nessuno la violenza che hanno subito o stanno subendo. Speriamo che non diventino parte della lista nera di quelle uccise.

Fonte: Originale – Oslobođenje –

Tradotto da: Redazione

Note del traduttore: dove possibile si e’ cercato di mantenere l’andamento ed il ritmo dell’articolo originale. Nei punti in cui questo principio snaturava la prosa italiana, si e’ cercato di adottare la parafrasi piu’ consona al significato.