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Croazia: presidente Kitarovic in Turchia

La presidente croata Grabar-Kitarovic oggi in Turchia per il primo viaggio di questo 2018, come riportano i media nazionali.

Alle ore 16 è previsto un incontro di vertice con il suo omologo Recep Erdogan, a cui seguirà una cena di lavoro. Il tema del confronto ruoterà attorno alle prossime elezioni in Bosnia Erzegovina, programmate per la fine dell’anno.

La visita corrobora la volontà del governo croato di giocare un ruolo all’interno della stabilità della Bosnia, come ha riportato il professore e parlamentare Nikola Grmoja.

Essendo la Croazia uno dei garanti della Costituzione del paese, ha aggiunto l’ex-diplomatico Miro Kovac, è fondamentale che il governo sia in prima linea, assieme ad Erdogan, data la sua vicinanza al presidente bosniaco della presidenza tripartia BiH Bakir Izetbegovic, per emendare la legge elettorale e meglio garantire la posizione di primus-inter-pares dell’etnia croata.

Si ricorda come in Bosnia viga un sistema elettorale diviso per entità. I cittadini eleggono i 42 membri della Camera dei Rappresentanti attraverso un sistema proporzionale, diviso per etnie. In RS, a maggioranza serba, infatti, gli elettori possono esprimere la loro preferenza solo per i candidati serbi, mentre nella Federazione, gli elettori possono votare i candidati croati o musulmani.

Si tratta del 24esimo viaggio della Kitarovic, che dall’inizio del suo mandato ha visitato più volte gli USA, la Nuova Zelanda, l’Australia, l’Afghanistan, l’Azerbaijan, il Kuwait ed il Qatar.

Verso la metà di gennaio, la presidente sarà nuovamente a Sarajevo.

Balcani: 2018 cruciale

La Strategia dell’Unione Europea per l’integrazione dei Balcani Occidentali preparata dalla Commissione Europea, dovrebbe essere presentata il 6 febbraio 2018.
Nonostante le dichiazione del Presidente della Commissione Jean Claude Juncker che sembravano identificare solo la Serbia ed il Montenegro, in prima fila nel processo di ingresso nell’UE, come gli unici soggetti della Strategia, il programma dovrebbe riguardare anche gli altri paesi dei Balcani Occidentali, Albania, Bosnia, Kosovo e Macedonia.
La nuova Strategia avrà tra gli obiettivi la lotta alla corruzione, il rafforzamento dello stato di diritto, la stabilità generale della regione e la giustizia. La bozza della strategia contiene anche la conclusione di un accordo legalmente vincolante tra il governo di Belgrado e quello di Pristina da suggellarsi entro la fine del 2019.
Il documento è un passo fondamentale nel processo di avvicinamento dei paesi balcanici alla famiglia europea. Come ha commentato l’analista Srdan Cvijic, che si occupa delle relazioni esterne dell’Unione, è necessario che la Strategia tocchi cinque punti, che, a suo avviso, sono gli snodi centrali per ridare popolarità alle manovre di ingresso. Prima di tutto, il documento, puntualizza Cviijc, deve definire la trasparenza e la prevedibilità del processo; in secondo luogo, è importante che vi sia menzione dell’istituzione di meccanismi nuovi che monitorino lo stato dei progressi nei singoli paesi, della possibilità di rilasciare maggiori fondi a disposizioni per i Balcani Occidentali destinati alle infrastrutture, di un programma atto alla socializzazione delle elite politiche ed infine dell’integrazione dei cittadini dei paeesi coinvolti nell’area dell’Unione Europea attraverso differenti misure.
Il 2018 sarà un anno cruciale per le speranze di avvicinamento dei Balcani Occidentali all’Unione. Oltre alla summenzionata Strategia, il prossimo anno vedrà la Bulgaria come presidente di turno dell’UE, un paese che non ha mai nascosto la sua volontà di partecipare attivamente al processo di allargamento, tanto da fare di quest’ultimo una delle priorità della sua presidenza. E’ in questo contesto che la capitale Sofia ospiterà il 17 maggio 2018 un summit tra l’Unione ed i leader politici dei sei paesi dei Balcani Occidentali, un anticipo dell’appuntamento di Londra del 10 luglio, quinto incontro multilaterale del Processo di Berlino, l’ultimo previsto.
Entrambi gli episodi sono considerati dagli analisti come momenti rivelatori del futuro atteggiamento dell’Unione nei confronti dei sei paesi balcanici, soprattutto per verificare la propensione dell’Europa di adottare politiche piu’ aggressive per consentire l’accesso dei Balcani Occidentali, in controtendenza con un approccio maggiormente morbido e, generalmente, meno efficace. Tale variazione di rotta potrebbe rivelarsi decisiva per le nazioni che oggi risultano in ritardo rispetto alla maggioranza della regione, come Bosnia e Kosovo. Senza il supporto forte e continuo dell’Unione, il processo di integrazione potrebbe essere faticoso, dispendioso e complesso, spegnendo così gli entusiasmi nella popolazione bosniaca o kosovara. Tuttavia, benché vi siano segnali di incoraggiamento, la nuova presidenza del Consiglio d’Europa sarà austriaca: il nuovo governo, guidato dal giovanissimo Sebastian Kurz, sembra interessato ad occuparsi di stabilità interna, sicurezza dei confini e gestione dei flussi migratori, in parallelo con le trattative post-Brexit ed il varo del nuovo budget UE. Probabile, quindi, che non vi sia grande spazio per i Balcani Occidentali nell’agenda di Kurz. Un altro punto dolente sono le dichiarazioni di supporto di Strache, partner di coalizione nel governo austriaco, verso la Republika Sprka ed il suo presidente Milorad Dodik e la negazione da parte del Partito della Libertà di Strache dell’indipendenza del Kosovo.

Bosnia: Dodik in lista nera degli USA

Milorad Dodik, presidente dell’entità serba di Bosnia, la Republika Srpska, è stato incluso nella “lista nera” dal governo degli Stati Uniti, come riporta in un’intervista concessa al quotidiano di Sarajevo l’ambasciatrice americana Maureen Cormack.
La decisione è stata presa al vertica e risponde a dei criteri specifici che orientano la politica del gigante statunitense in Bosnia. La Cormack ha dichiarato:

“La politica americana in Bosnia è molto chiara. Noi supportiamo questo paese, la sua integrità territoriale, la Costituzione disciplinata negli Accordi di Dayton, il processo di integrazione della Bosnia all’interno dell’Unione Europea e se Dodik dovesse cominciare ad impegnarsi su progetti che facciano il bene dei cittadini bosniaci, come ho detto ripetutamente, noi siamo pronti a lavorare con ogni leader che condividono gli obiettivi di cui sopra. “
La decisione, ha aggiunto, non è contro i cittadini della RS o contro l’esistenza stessa dell’entità. L’ambasciatrice ha tenuto a precisare che il governo americano continua e continuerà a cooperare con le istituzioni serbo-bosniache, come dimostra il progetto di supporto all’economia Farma 2 o il programma USAID.
“Infatti mi preme sottolineare che è Dodik ad aver deciso quanto sta accadendo. Semplicemente, deve abbandonare la retorica nazionalista e secessionista, l’opposizione ferma e decisa al processo di integrazione della Bosnia nello scacchiere euro-atlantico e tutte quelle dichiarazioni che sembrano voler solamente rallentare lo sviluppo del paese.” ha concluso la Cormack.

Fonte: N1, Oslobodjenje

Serbia: aiuti finanziari per Srebrenica

In arrivo un aiuto finanziario da Belgrado per Srebrenica, concesso durante la visita nella capitale serba del sindaco della città Mladen Grujicic con il presidente Vucic.
I fondi sono rivolti a potenziali investitori serbi interessati a sviluppare la zona industriale di Potocari, specialmente per quanto riguarda la produzione di sedie.
Secondo fonti municipali, il valore delle infrastrutture già presenti si aggira attorno ad 850.000 euro, ai quali è necessario aggiungerne altri 150.000 per le operazioni di ristrutturazione e di rimessa in funzione. Il progetto, una volta a pieno regime, dovrebbe essere in grado di espandere i posti di lavoro da 70 previsti all’inizio delle operazioni di ricostruzione, a 300, sempre stando alle stime fornite dagli uffici del sindaco.
Gli spazi e le strutture erano di proprietà della Srebrenica Prevoz, acquistata dalla compagnia di Bjeljina Bobar durante il processo di privatizzazione, poi venduta alla slovena Neo Dom. A seguito delle compravendite, la produzione è cessata, mentre i macchinari sono stati ceduti a terzi, bloccando di fatto l’attività delle fabbriche, che ad oggi, sono ferme da 15 anni, nonostante continui proclami di un rilancio imminente.
Due anni, nel 2015, l’allora primo ministro Aleksandar Vucic, oggi come si sa presidente, promise di aiutare la municipalità di Srebrenica, preparando un piano di finanziamento di 5 millioni di euro, adesso in corso di attuazione.
Nell’ultimo biennio, 2 millioni dei 5 totali sono stati impiegati per sanare le finanze di Srebrenica mentre i rimanenti tre sono alla base di progetti di rilancio economico ed industriale dell’area.

Fonte: N1 – sgenzia di stampa

Bosnia&Serbia: confine senza controlli

Valico per l’ingresso in Serbia senza nessun controllo: Sasa Magazinovic, parlamentare del partito Social-Democratico nel parlamento nazionale della Bosnia ha voluto verificare quanto udito nei mesi scorsi. Così, il politico ha imboccato il collegamento stradale presso il ponte sul fiume Lim, nelle vicinanze di Rudo, cittadina collocata quasi al confine, scoprendo che da lì è possibile sconfinare nella vicina Serbia senza che vi sia alcun tipo di controllo al confine. E’ abbastanza possedere un fuoristrada o una vettura capace di attraversare una rete viaria poco asfaltata. Il parlamentare ha espresso la sua preoccupazione, soprattutto nel contesto della crisi migratoria, rimarcando come la sicurezza dei confini sia fondamentale. Al termine dell’esperimento, Magazinovic ha invertito la rotta, facendo ritorno nella sua Bosnia. Ovviamente indisturbato.

Fonte: N1 – agenzia di stampa

Serbia: tra gli armamenti dell’ISIS anche materiale serbo

Secondo uno studio del Conflict Armament Research di Londra sulla provenienza delle armi in mano all’ISIS, il 4,04% degli armamenti impiegati nei conflitti in Medio Oriente ha la sua origine in Serbia, per approdare successivamente in Iraq e Siria.
Delle 74 armi ricondotte al territorio serbo, solo 4 sono state prodotte tra il 200 ed oggi, mentre le rimanenti 70 risalgono all’epoca dell’ex Jugoslavia.
In mano all’ISIS anche armamenti spediti attorno al 2003 dal governo serbo ed inizialmente destinati alle forze regolari irachene. E’ stato possibile determinare l’origine del materiale attraverso il rinvenimento di 19 cassette di munizioni conosciute con il marchio “Prvi Partizan”, uno dei maggiori produttori di munizioni nel mondo con base nella città serba di Uzice, esportate legalmente in Iraq fino al 2004. Il calibro dei proiettili è compatibile con i fucili automatici di produzione russa, il kalasnijkov ed il tokarev.
Tra i maggiori fornitori, si leggono nomi conosciuti al pubblico. Al primo posto la Cina (43,5%), poi la Romania (12,12%), la Russia (9,55%), l’Ungheria (7,21%) e la Bulgaria (5,29%). Per quanto riguarda le munizioni, primeggia la Russia, con un quarto delle forniture, poi ancora Cina, con un altro quarto, la Romania, con il 15%, gli Stati Uniti con il 6,06%, la Bulgaria con il 4%, la Serbia con quasi il 3% ed infine la Turchia, con il 2,71%.
Per compilare la statistica, il CAR ha analizzato nel triennio 2014-2017 la provenienza di piu’ di 1832 singole armi e di 40.000 munizioni singole, in un territorio che va da Kobane in Siria, a Baghdad in Iraq. L’indagine è resa complessa dalla difficoltà nel ricostruire l’origine di un’arma quando a quest’ultima è stato abraso o rimosso il numero di serie, in un probabile tentativo di occultare le reti di rifornimento.

Fonte: Blic, PrviPartizan, Vlada RS

Kosovo: reazioni negative verso la Corte Speciale

Il parlamentare kosovaro Daut Haradinaj, della formazione politica Alleanza per il Futuro del Kosovo e fratello del primo ministro Ramush Haradinaj, nonché ex-combattente con l’Esercito di Liberazione del Kosovo, ha dichiarato il suo scetticismo nei confronti della nuova Corte Speciale dell’Aia che avrà giurisdizione sui crimini commessi durante il conflitto in Kosovo nel 1999.
Secondo Haradinaj, gli arresti che verranno ordinati dal Tribunale saranno fortemente contrastati dai combattenti dell’Esercito di Liberazione, che proteggerà i suoi membri dal dover sostenere un processo per i presunti illeciti di cui sono accusati. Tra le imputazioni, quella di omicidio, tortura, detenzione illegale, stupro e rapimento.
Il commento del parlamentare è stato registrato poco dopo il tentativo fallito del parlamento del Kosovo di passare una legge che proibisca alla Corte Speciale di perseguire coloro i quali hanno fatto parte dell’Esercito di Liberazione sia per i crimini commessi in tempo di guerra che per quelli del periodo successivo. La misura è stata affossata sia dal non raggiungimento del quorum all’interno dell’ufficio della presidenza del parlamento, sia a causa delle forti pressioni da Stati Uniti ed Unione Europea.
La protesta contro la nuova Corte è comunque sistemica, essendo quest’ultima condannata anche dal presidente Hashim Taci, che , mercoledì 27, ha commentato definendo il nuovo organo giudiziario “un’ingiustizia storica contro i kosovari albanesi”. Ai microfoni di Radio Free Europe, Taci ha poi espresso il suo disappunto per il non passaggio della proposta di legge, sottolineando come, piu’ che un tentativo di respingere le ingerenze internazionali, la volontà alle spalle dell’iniziativa era di permettere al Kosovo di avere la propria corte interna addetta ai crimini di guerra, in maniera non dissimile alle corti domestiche istituite in Serbia, Bosnia e Croazia.
“Anche oggi, adesso, considero la Corte Speciale un’ingiustizia storica, specialmente da quando il Tribunale per l’ex Jugoslavia è chiuso. La domanda quindi è, perchè qualcosa di speciale per il Kosovo? Siamo forse cittadini di seconda classe? Abbiamo attaccato un’altra nazione? Serbia? La Serbia ha occupato il Kosovo e la nostra è stata una guerra difensiva, per liberare il Kosovo e la sua gente.”
Nonostante le dichiarazioni, il presidente sosterrà la nuova Corte, per preservare i buoni rapporti con la Comunità Internazionale. Alla domanda postagli se fosse preoccupato di essere tra il gruppo di futuri imputati della Corte, Taci ha risposto:
“Sono orgoglioso dell’interno periodo in cui ho servito nell’Esercito di Liberazione, e sono convinto che la nostra guerra sia stata pura, corretta e legittima. Era l’unico modo per raggiungere la libertà e l’indipendenza e se accettare la Corte Speciale è il prezzo da pagare per questa libertà, ci assumeremo le nostre responsabilità, sia come cittadini che come leader istituzionali.”
L’atteggiamento prudente di Taci è giustificato dalle reazioni alla proposta di legge contro la Corte degli alleati internazionali del Kosovo. Tra tutte, spicca quella degli Stati Uniti, che tramite l’ambasciatore Greg Delawie, hanno puntualizzato come l’eventuale passaggio della legge avrebbe potuto compromettere il futuro come parte della famiglia europea del Kosovo e avuto una serie di implicazioni negative nelle relazioni tra la giovane repubblica ed il governo americano. L’ambasciatore, senza mezzi termini, ha definito la possibile approvazione dell’iniziativa, “una pugnalata alla schiena del Kosovo agli Stati Uniti”.

Fonte: BalkanInsight, BalkanEU

Bosnia: Azra Basic condannata a 14 anni di reclusione

Azra Basic, ex-membro dell’HVO durante la guerra di Bosnia, è stata condannata a 14 anni di reclusione dalla Corte Nazionale di Sarajevo. Era accusata di aver abusato di prigionieri di etnia serba nella località di Derventa, tra il 26 aprile ed il maggio 1992.
La Corte ha concluso che la Basic ha preso parte a torture sistematiche ed ha commesso almeno un omicidio, quello del serbo Blagoja Djuras. In aggiunta, la bosniaco-croata ha abusato di Mile Kuzmanovic, fatto accertato dalla trascrizione delle testimonianze dello stesso e da altri resoconti forniti da testimoni oculari. Le è stata anche riconosciuta la responsabilità per il trattamento inumano nei confronti di Boroe Petar Markovic, mentre la Basic si trovava a Polje, nel maggio 1992. Assolta, invece, da altri tre capi di imputazione in quanto, come riporta il presidente della Corte Sean Dikic, non è stato possibile raggiungere una decisione unanime sulla colpevolezza dell’imputata basandosi sulle evidenze a disposizione.
La sentenza è stata formulata tenendo conto della brutalità e delle conseguenze dei criminici commessi dalla combattente, alle quale, comunque, sono state riconosciute le attenuanti dovute a chi è alla prima condanna penale.
Azra Basic era arrivata negli Stati Uniti dopo il conflitto, occultando il suo coinvolgimento nelle operazioni militari sul territorio bosniaco.
Nata nel 1959, a Fiume, in Croazia, la Basic ha lavorato in tre campi di detenzione diversi a cavallo della primavera e dell’estate del 1992, tutti nei pressi del villaggio a maggioranza serba di Cardak. Inclusa nel registro degli accusati di crimini di guerra già nel 1993, era stata individuata solo nel 2004, mentre già risiedeva a Stanton, Kentucky. Una richiesta di estradizione formale era stata presentata agli USA dalla Bosnia nel 2007 alla quale gli Stati Uniti avevano risposto richiedendo maggiori informazioni riguardo alle accuse mosse contro la Basic, ottenute nell’Aprile 2010.
Nel 2011 era stata arrestata nello stato del Kentucky con l’accusa di frode all’immigrazione, a causa delle false informazioni dichiarate riguardo al suo passato. Nel 2016, a seguito di una lunga battaglia contro l’estradizione, la Basic è arrivata a Sarajevo, dove è stata presa in custodia dalla polizia locale.
Trattandosi di una condanna di primo grado, il verdetto è appellabile.

Fonte: BalkanInsight, BBC, Trial International, N1

Serbia: memorandum di cooperazione con la Norvegia

Il Ministro della Repubblica di Serbia per il lavoro, l’impiego, i veterani ed i servizi sociali ha firmato oggi, 28 dicembre, un memorandum di cooperazione con l’ambasciatore di Norvegia in Serbia Arne Bjornstad, per confermare la collaborazione tra il governo serbo e la Norvegia nei maggiori progetti infrastrutturali nelle municipalità colpite dalla crisi dei migranti. Presenti anche i rappresentanti del “Gruppo 484”, l’organizzazione non governativa che ha preso in carico il benessere di 484 famiglie serbe sfollate dall’Operazione Oluja del 1995 e che, nell’ultimo periodo, ha focalizzato la sua attenzione sulle condizioni di vita dei migranti che hanno trovato rifugio in Serbia. La fondatrice, la ballerina ed attivista per la pace Jelena Santic ha ricevuto il Pax Christi International Annual Peace Prize nel 1996. Tra le precedenti inziative, l’aiuto ai profughi durante le ostilità in Kosovo nel 1999 e l’assistenza agli sfollati dopo la cessazione del conflitto seguito alla dissoluzione violenta della Jugoslavia.
Il ministro Dordevic ha rimarcato l’importanza di poter fornire dei servizi educativi all’altezza, che siano inclusivi e permettano ai minori delle famiglie dei migranti di poter accedere alla scolarizzazione sul territorio serbo.

Croazia: striscione inneggiante a Pavelic

Apparso stamattina, a Sirok Brijeg, uno striscione inneggiante ad Ante Pavelic, appeso alla ringhiera nelle vicinanze di un asilo, in via bana Jelacic. Su sfondo bianco, spiccano il profilo del collaborazionista croato, detto Il poglavnik e leader degli ustasa, e la scritta “In una tomba d’oro a Madrid”, parte dello slogan “In una tomba d’oro a Madrid, c’è il leader di tutti i croati”.
Sembra che lo striscione sia stato affisso in memoria del 58esimo anniversario della morte di Pavelic, deceduto il 28 dicembre 1959 nella capitale spagnola all’eta di settant’anni, dopo essere fuggito dapprima in Austria, poi in Argentina, da cui era scappato nel 1957, a seguito di un attentato contro la sua figura perpetrato dal patriota serbo Blagoje Jovovic, per giungere infine in Spagna, dove è spirato in conseguenza alle complicazioni del diabete ed agli strascici delle ferite riportate nell’attacco a mano armata di Jovovic.
Jovovic, morto nel 1999 a Rosario, in Argentina, era stato membro della brigata cetnica Bjelopavlic, poi gestore di alberghi nella sua nuova patria, dopo un veloce passaggio in Italia nei campi profughi. Venuto a conoscenza della presenza di Pavelic in Argentina -, protetto dalla Chiesa Cattolica e sotto falsa identità,- Blagoje comincia a preparare i dettagli per l’assassinio, poi programmato per il 10 aprile 1957, alle 21. Pavelic avrebbe ricevuto due colpi alla schiena, dalla cui complicazioni non si sarebbe mai ripreso.

Fonte: N1 – agenzia di stampa